Tutto ebbe inizio con un serpente – Parte 1: anatomia, tassonomia ed evoluzione

Ogni grande storia sembra iniziare con un serpente.

Nicolas Cage

Ora a sinistra, poi a destra:

così avanza il serpente.

Valerio Butulescu

Il serpente cambia pelle, non natura.

Proverbio persiano

Nel serpente il veleno è nei denti, nella mosca è nel capo, nello scorpione nella coda, nel malvagio in tutto il corpo.

Proverbio indù

«Poiché hai fatto questo,

maledetto tu fra tutto il bestiame

e fra tutti gli animali selvatici!

Sul tuo ventre camminerai

e polvere mangerai

per tutti i giorni della tua vita.

Io porrò inimicizia fra te e la donna,

fra la tua stirpe e la sua stirpe:

quindi ti schiaccerà la testa

e tu le insidierai il calcagno».

Genesi, 3, 14-15

I serpenti sono rettili appartenenti all’ordine degli Squamati, la cui principale peculiarità anatomo-morfologica è l’assenza di arti.

ANATOMIA E FISIOLOGIA

Lo scheletro, mancante di arti funzionali, si estende per tutta la lunghezza del corpo con l’esclusione di gran parte della coda.

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L’intera struttura ossea è evolutivamente concepita come adattamento all’insegna di leggerezza e flessibilità e consente vari schemi di deambulazione. Uno è la progressione in linea retta, che ritroviamo soprattutto tra i grandi costrittori, in cui la propulsione in avanti viene ottenuta facendo forza con le squame ventrali sugli accidenti del terreno. In alternativa si ha il movimento ondulatorio a S, in cui la spinta è fornita alternatamente dai vari segmenti del corpo. In particolare tra le specie scavatrici si ritrova anche il movimento a fisarmonica, in cui la parte anteriore del corpo, adesa al terreno, fornisce trazione per quella posteriore. 

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In superficie rispetto allo scheletro interno, che fornisce inserzione alla componente muscolare, si trova l’epidermide, composta da squame lamellate che si dispongono sovrapponendosi come le tegole di un tetto. Questa struttura, oltre a svolgere funzioni di protezione, costituisce un tegumento impermeabile e al tatto è perfettamente liscia, contrariamente al luogo comune secondo cui i serpenti sono viscidi.

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A cadenze più o meno regolari, da poche settimane fino anche a un anno a seconda di specie, stadio di sviluppo, condizioni ambientali e fattori individuali, avviene il caratteristico processo di ecdisi o muta, in cui l’intero strato squamoso della cute viene sfilato attraverso lo sfregamento contro terreno e asperità varie, e rimpiazzato dal nuovo sottostante. Il liquido linfatico che per permettere il distacco si interpone tra la vecchia epidermide e lo strato nuovo sottostante è responsabile di segnali premonitori del processo, quali un colorito rosato che successivamente volge al bluastro soprattutto a livello oculare. Di norma in questa fase si osserva una sospensione dell’alimentazione, che precede di alcuni giorni la muta.

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All’interno del corpo, protetti dallo scheletro, alloggiano i visceri, tra cui i polmoni (fra i quali spesso solo il destro è pienamente sviluppato, mentre il sinistro è vestigiale), e il cuore che è diviso in tre cavità: due atri, pertanto il sangue attraversa il cuore due volte, e un ventricolo, a livello del quale sangue ricco e povero di ossigeno possono mescolarsi. Questo sistema va sotto il nome di circolazione doppia incompleta.

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Relativamente corto, ma dotato di una secrezione enzimatica capace di digerire le ossa delle prede, è lo stomaco, in cui sbocca un esofago flessibile, proprietà che condivide con lo scheletro e che è coinvolta nell’ingestione della preda, che avviene in assenza di masticazione, per intero, a partire dalla testa, grazie a una peculiare organizzazione del viscerocranio. Infatti le due emimandibole sono connesse per mezzo di una struttura legamentosa, fattore che conferisce loro autonomia reciproca nella mobilità. Inoltre, altre componenti ossee, come l’arco pterigo-palatino e il quadrato, sono anch’esse mobili rendendo tutta la struttura boccale ampiamente elastica e dilatabile, consentendo di inghiottire anche prede di grandi dimensioni, compresi antilopi e giovani coccodrilli per i costrittori più grandi, i quali possono ricevere in tal modo un sostentamento plurimestrale del loro fabbisogno alimentare. 

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Delle prede, completato il transito nel tubo digerente che può in totale durare anche diverse settimane, resteranno solo pelo, piume e denti. Questo processo può inoltre essere coadiuvato dal veleno, da cui il nome del clade Toxicofera, che comprende tra gli altri anche camaleonti, iguane, elodermi e varani, in cui sono classificati i serpenti (vedi paragrafo “Evoluzione e tassonomia”).

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A tal proposito, se un tempo il veleno, inteso come sostanza secreta da cellule specializzate e inoculata nella preda a scopo predatorio o di difesa, era ritenuto il risultato di un processo di evoluzione convergente ripetutosi più volte tra le varie famiglie, ad oggi sta riprendendo piede l’ipotesi di un’origine comune di tale carattere, da ricondurre ai primi antenati comuni dei Toxicofera. Tale teoria sembra essere avvalorata da alcuni “geni del veleno” comuni a tutto il clade, benché possa essere presente variabilità interspecifica (con possibili pattern di comunanze familiari) in termini di espressività a vari gradi, silenziamenti, nonché specifiche declinazioni in termini di specializzazione e funzionalità. Se infatti da una parte alcuni lignaggi di serpenti hanno perso capacità di produrre veleno, ne producono piccole quantità oppure sono capaci di beneficiare della secrezione di alcune sostanze solo come coadiuvante digestivo, altre linee filogenetiche hanno puntato più fortemente su questo carattere in chiave adattativa, affinandolo in termini di incremento di letalità della sostanza ed efficienza dei meccanismi di inoculazione. Su queste basi si può stilare una classificazione anatomo-funzionale della dentizione degli ofidi. Si parla infatti di dentizione aglifa qualora manchino del tutto denti e ghiandole velenifere, il che avviene per esempio nei grossi serpenti costrittori (famiglie Boidae e Pythonidae) la cui strategia adattativa ha puntato sullo stritolare le prede facendo leva sulla stazza e la forza fisica, nonché nella netta maggioranza dei serpenti nostrani. I serpenti opistoglifi invece posseggono denti muniti di un canalicolo esterno e collegati a ghiandole velenifere nella parte posteriore della mascella per un sistema che, seppur efficace nei riguardi delle piccole prede di cui si nutrono, di norma non costituisce un pericolo per animali più grandi tra cui l’uomo, anche considerato che il meccanismo di inoculazione non è molto efficiente e richiede di norma un morso profondo e prolungato. Infatti questo è solitamente messo in atto negli attacchi predatori e non in quelli difensivi, in cui l’ofide colpisce rapidamente per guadagnare un attimo prezioso per fuggire. Rappresentanti di questa categoria sono anche alcune specie nostrane assolutamente innocue per l’uomo come Malpolon monspessulanus (colubro lacertino, famiglia Lamphrophiidae) e Telescopus fallax (serpente gatto europeo, famiglia Colubridae), mentre eccezione che conferma la regola, in quanto potenzialmente pericoloso per l’uomo, è l’africano boomslang (Dispholidus typus).

Un’ulteriore tipologia di dentizione è quella proteroglifa in cui zanne velenifere scanalate esternamente e connesse ad apposite ghiandole sono situate anteriormente nella mascella e, se a questo vantaggio di posizione delle zanne si somma un veleno potente, non stupisce che molte di queste specie, tassonomicamente riconducibili alla famiglia Elapidae, che comprende tra gli altri cobra, mamba e serpenti corallo, abbiano un morso potenzialmente letale per l’uomo. Il meccanismo più evoluto in assoluto è tuttavia quello della dentizione solenoglifa, proprio della famiglia Viperidae che comprende vipere, tra cui le specie nostrane, e crotali. In questo assetto le zanne velenifere, dotate stavolta di un canale interno, nonché particolarmente grandi (con picchi di lunghezza fino a 5 cm e oltre in Bitis gabonica – vipera del Gabon – e Lachesis muta – crotalo muto), sono a riposo tenute all’indietro e all’occorrenza protrusibili in una frazione di secondo. 

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L’iniezione del veleno è finemente regolata da una muscolatura specializzata, in modo da consentire al serpente di non sprecare in morsi difensivi questa risorsa, preziosa per la caccia nonché per l’avvio del processo digestivo. Il morso non accompagnato da immissione di veleno è definito “morso asciutto”, tuttavia qualora si verifichi è bene intervenire egualmente, somministrando, qualora clinicamente indicato, un siero di antidoto dato che da un lato il “morso asciutto” non è una certezza e dall’altro alcune specie possiedono un cocktail di tossine sufficientemente attivo da essere pericoloso anche in quantità minime. È inoltre importante, qualora indicato, che si somministri un antidoto specifico per il veleno della specie responsabile del morso, dato che la tossina di ogni serpente differisce per composizione e meccanismi di azione.

A monte dei meccanismi di uccisione e digestione della preda, un peculiare arsenale sensoriale viene reclutato nelle fasi di ricerca attiva. Il senso dell’udito, complice assenza di aperture auricolari esterne, non consente una fine discriminazione dei suoni, pur essendo il serpente in grado di captare le vibrazioni dal terreno attraverso le ossa della mascella e trasmettere da qui il segnale all’orecchio interno. Infatti il cobra alza il cappuccio in risposta alle vibrazioni del flauto dell’incantatore di serpenti che raggiungono la cesta, non perché percepisce il suono della musica.

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La vista è, salvo specie scavatrici, solitamente buona mentre assai sviluppato è l’olfatto. Infatti l’animale, servendosi dell’iconica lingua biforcuta, la quale comunica con l’organo vomeronasale o di Jacobson (sito al di sopra del palato duro), che a sua volta afferisce al cervello, è in grado di discriminare la direzione di provenienza dei segnali odorosi.

Una risorsa sensoriale addizionale, presente in boidi e pitonidi, oltre che nei viperidi della sottofamiglia Crotalinae è costituita dalla termocezione, per cui tramite alcune fossette situate tra occhi e narici il serpente è in grado di rilevare un’immagine termica della preda, potendone stimare la distanza sfruttando l’emissione di infrarossi che scaturisce dalla sua attività.

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TASSONOMIA ED EVOLUZIONE

Gli Ophidia o Serpentes sono considerati, assieme ad Anguimorpha e Iguania, appartenenti al clade Toxicofora, a sua volta facente capo all’ordine Squamata. Quest’ultimo, assieme a Chelonia, Ryncocephalia, Crocodylia e Avetheropoda (quest’ultima comprende gli odierni dinosauri aviani comunemente noti come uccelli), è uno dei componenti del clade dei rettili diapsidi (caratterizzati da due finestre a ogni lato del cranio) che sono sopravvissuti all’estinzione di massa del Cretaceo-Paleocene, verificatasi circa 65 milioni di anni fa. A causa della fragilità che caratterizza lo scheletro degli ofidi, i fossili giunti sino a noi non sono molti, con i più antichi che sembrano essere databili al tardo Cretaceo medio (circa 110 milioni di anni fa), per una storia evolutiva che ha visto succedersi la comparsa di una miriade di forme. Tra queste era compreso il gigantesco Titanoboa cerrejonensis, risalente al Paleocene (60 milioni di anni fa), che con i suoi 13 metri di lunghezza per un peso superiore alla tonnellata, era presumibilmente il serpente più grande mai esistito. 

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Vi sono ragionevoli elementi per supporre che i serpenti discendano da antenati lucertole, come sembrano per esempio suggerire vestigia di arti posteriori in alcuni serpenti molto primitivi. Avallata questa premessa, sussiste tuttora il dibattito tra due filoni per quanto concerne l’attribuzione del titolo di antenati dei moderni ofidi, identificabili in lucertole marine secondo alcuni autori e scavatrici secondo altri. Secondo la prima ipotesi i primi ofidi si sono evoluti da un antenato comune ai mosasauri, giganteschi predatori marini coevi ai dinosauri non aviani nel Cretaceo superiore, con i quali vi sono somiglianze nella struttura del cranio e in particolare a livello delle ossa mascellari.

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A suffragio della seconda teoria si annoverano invece alcuni peculiari connotati anatomici dell’antico serpente basale Najash rionegrina, le cui abitudini sotterranee sono suggerite da tratti come vertebre e cranio di forma slargata. Si tratta di una specie fossile, risalente presumibilmente a circa 90 milioni di anni fa, che presenta alcuni caratteri, come la presenza di un osso sacro e due piccole zampe posteriori a ridosso dell’estremità caudale, che non sono in comune coi serpenti attuali (che pertanto potrebbero averli persi nel corso dell’evoluzione se si accetta questa ipotesi), dei quali però ricalca per il resto abbastanza fedelmente peculiarità morfologiche e strutturali. 

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La prima teoria spiegherebbe la presenza di palpebre trasparenti e fuse e la mancanza di orecchio esterno e medio negli ofidi attuali, rispettivamente con la necessità di contrastare la disidratazione corneale a causa dei processi osmotici in acqua di mare e con la scarsa utilità dell’orecchio esterno nel medesimo ambiente. La seconda imputerebbe l’evoluzione di questi connotati alla necessità di proteggere la cornea dagli insulti meccanici conseguenti all’attività scavatrice, nella quale d’altra parte padiglioni auricolari esterni potrebbero risultare d’intralcio.

Quale che sia l’origine esatta delle peculiarità di morfologia, anatomia e fisiologia dei serpenti, l’evidenza scientifica attualmente disponibile sembra propendere, più che per uno sbrigativo castigo divino, per un certosino lavoro di milioni di anni di evoluzione.

Il sentiero evolutivo dei serpenti è stato solcato in funzione dell’adattamento all’ambiente circostante, con declinazioni che non hanno eguali nel regno animale.

Fabrizio Bertini

Immagine di copertina: foto di Jan Kopřiva, free stock, via Pexels.com

Link alle immagini:

Le straordinarie immagini di un pitone che mangia un wallaby (FOTO)

http://oceansofkansas.com/KU-Bunker.html

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